CHI CORRE HA UN CONTO IN SOSPESO CON DIO: cronaca di una maratona.

Non sono una che si allena con tecnica e costanza. Ai lunghissimi e alle ripetute ho quasi sempre preferito le camminate in montagna. Quest’estate, quando ho confessato di essermi iscritta alla Venice Marathon, le amiche hanno riso come matte.

Era un mio sogno, la maratona. Ogni volta che corro immagino di farne una. Sono tanti 42 kilometri, a volte già dopo 10 sei stanca morta e ti chiedi se sia veramente possibile percorrerli tutti. Fin da piccola ne ho sentite di leggende sulla maratona: c’è chi arriva e fa la pipì col sangue per la fatica; chi non supera il “muro dei 30 km”, ovvero il limite oltre il quale il tuo corpo non ha più nulla da bruciare, come una macchina senza benzina. Ho visto gare in cui gli atleti cedevano negli ultimi 300 metri, ho sentito di chi dopo la maratona non ha mai più corso. In questo portare il tuo fisico allo stremo c’è qualcosa di profondamente poetico e, in certo senso, immorale. Soprattutto quando sei consapevole di non poter vincere, di non abbattere alcun record. È un’inutile sfida contro te stesso. Uno sforzo vuoto.

Domenica alle 9.30 siamo partiti da Villa Pisani, a Stra, con le peggiori previsioni meteo: vento a 40 all’ora, pioggia, acqua alta a Venezia. Sotto il gonfiabile dello Start mi sono guardata attorno, come faccio prima delle competitive. I corridori sono storie su due gambe e rappresentano un universo curioso. C’è chi ha il fisico prestante e chi una tenacia da leone. Chi per un paio di calzini spende cifre irragionevoli e chi ha le canotte anni Ottanta, con inciso il nome di gare sospese da decenni. Chi porta con sé telefono, MP3 e integratori, e chi non ha nemmeno l’orologio. Per scaldare i muscoli, alcuni fanno gli allunghi, altri saltellano, si guardano indietro e sputano, tutti pronti per dare il loro meglio. Chissà perché si corre. Io non credo a quelli che dicono “mi piace”. A nessuno può piacere una cosa simile. È piacevole guardare un film, fare due passi al tramonto, mangiare un gelato, non fracassarti i piedi sull’asfalto per 4 ore e guadagnare un pacco di pasta, una mela e una maglietta di quei tessuti che ti fan puzzare pure se non sudi. Nemmeno io so perché corro. Prima del botto di inizio me lo sono chiesta, ma orami era tardi, sono partita e non c’ho pensato più.

Venicemarathon 2018
photo © Matteo Bertolin

“Cosa pensare”, ecco, quello è stato il mio cruccio. Per muovere i piedi non serve uno sforzo mentale e se ti arrovelli il cervello in questioni complesse sprechi energie. Eppure l’uomo non riesce a non pensare a nulla. Di conseguenza sperimenti una sorta di sospensione meditativa: tra tutti i pensieri, scegli quelli che ti faranno andare avanti senza distruggerti. Io faccio come i cecchini che per stare svegli pensano ad un’azione da compiere in coppia, tipo preparare una torta di mele, scandendo tutte le fasi: sbuccio le mele, le taglio a fettine, prendo la farina ecc. Oppure mi ripeto elenchi e liste, come Nanni Moretti in “Caos calmo”: le case in cui ho vissuto, i nomi dei miei compagni di classe, le borse che ho comprato. Quando attraversi i paesi della Riviera del Brenta, invece, interrompi questo flusso ipnotico e ti godi l’entusiasmo del pubblico, i bambini che sporgono la manina per darti il cinque e le persone che ti incoraggiano a non mollare. È sorprendente, perché se ti fermi ti sembra quasi di interrompere un sogno che è anche loro, per cui vai più forte e soffri sorridendo.

Dal 25° kilometro i miei pensieri si sono fatti più alti e coraggiosi. Ero verso Mestre, quasi dentro il Parco San Giuliano. Superata metà della gara, ho realizzato che stavo correndo una distanza aurea. Il primo maratoneta fu il povero Filippide di Atene, che corse sotto il peso dell’armatura per annunciare la vittoria e morì per lo sforzo subito dopo aver dato la lieta notizia. Poi ci fu Dorando Pietri, squalificato alle Olimpiadi del 1908 perché tagliò il traguardo sorretto da un giudice, dopo esser collassato a due passi dalla linea. Fu un atleta fenomenale, costretto a correre perché non aveva i soldi per comprarsi una bicicletta. Mi è venuto in mente anche l’aneddoto di un giapponese di cui non ricordo il nome che, destinato all’oro, durante la finale olimpica accettò un bicchiere di vino offerto da un contadino e si addormentò sul divano. Per la vergogna non si fece più trovare. Lo incontrò per caso un giornalista cinquant’anni dopo, nel 1962, e gli diedero la possibilità di concludere la sua maratona dopo ben mezzo secolo. C’è poi Abele Bikila, che vinse scalzo a Roma, abituato a correre per le dune etiopi per procurarsi l’acqua, per sopravvivere. E poi le donne, le spettacolari guerriere alate: Paula Radcliffe che ha corso fino all’ottavo mese di gravidanza e si è ritirata giocando in casa a Londra, piangendo come una bambina; oppure Valeria Straneo, a cui hanno tolto la milza e che a 40 anni batte ancora tutti. Due anni fa sono riuscita a strapparle una foto: è piccolissima e ardita come un gigante, per dirla alla Deledda.

E così con qualche cedimento, lenta come una lumaca indomita, mi sono trovata allo spauracchio del trentesimo chilometro, nel polmone verde più grande d’Europa, Parco San Giuliano. Ero convinta di svenire, spalmandomi nell’erba umida, e di essere poi soccorsa dai volontari del 118. Invece non mi è successo nulla e mi sono ritrovata ancora in piedi davanti al temibile Ponte della Libertà, che unisce Venezia alla terraferma. È un rettilineo di 4 chilometri immerso nel vento. Contrario, ovviamente. E oltre alle folate nemiche, batteva pure una pioggia fine e fredda, punte di spilli che ti massacravano la faccia. I ritiri sono stati numerosi; il camioncino dei pompieri raccattava runners esausti, salati di lacrime e sudore, cingolando in mezzo alla teoria di scarpe disfatte e alla danza di bicchieri vuoti.

Chi corre ha un conto in sospeso con Dio, o col destino, chiamatelo come volete. Tutti corrono per un motivo che non ha nulla a che vedere con la prestazione atletica. Quel giorno, ogni partecipante aveva dentro di sé un motore segreto: una delusione, una scommessa, un ricordo, una gioia, una persona perduta. Qualcosa che lo faceva stare in piedi più dei carboidrati e del cronometro. La maratona è una corsa solitaria che si nutre del calore dei passi di sconosciuti con cui condividi il sogno di farcela. La strada sei te, disteso, il tuo tempo, la tua vita, quello che sei e che vorresti essere. “Siamo noi i top runner” mi ha detto un compagno di Asolo. “Perché noi per allenarci dobbiamo arrangiarci, trovare il tempo, far sì che la moglie sia d’accordo. E non si molla mai, sa, l’importante è arrivare con quel che si può”.

Chi corre non è un eroe, perché non fa qualcosa che salva mondi o persone. Eppure correndo si prepara ad esserlo. La concentrazione e la volontà sono qualità indispensabili nella corsa e in un’esistenza che abbia senso. Questo non significa essere migliori di chi preferisce il divano: è semplicemente un modo per regolare il destino sperimentando il tuo limite, fisico e mentale.

A Venezia siamo arrivati con i piedi nell’acqua. Era la mia prima maratona e i giornali ne hanno parlato come di una gara “drammatica”. Ma a quel punto le gambe nella laguna gelida erano solo felicità. Tra gli spruzzi d’acqua grigia e le cupole azzurre, ho portato a casa una medaglia pure io. “Finisher” c’è scritto su, perché anche solo arrivare è una vittoria. E quando passi la linea e ti battono le mani, è quasi impossibile non piangere.

 

Federica Marangon Mi chiamo Federica Marangon e ho 32 anni. La letteratura è la mia passione: l’ho cercata in ogni luogo in cui ho vissuto e lavorato. Leggere mi aiuta a capire il mondo e ad accettarne la follia. Quando anche i libri non mi bastano, vado in bicicletta fino al mare o a camminare in montagna. E quando il meteo non lo permette, scrivo. Su di me ci sono sempre tante nuvole.

17 thoughts on “CHI CORRE HA UN CONTO IN SOSPESO CON DIO: cronaca di una maratona.

  1. Meraviglioso… complimenti Federica…io non corro ai tuoi..livelli ho fatto i 10 …ma mettermi alla prova mi rende libera….ormai non ho più l’ età per prepararmi ad una cosa così grande. ..avrei corso per mia mamma morta di SLA…in questi anni…ho pensato e ripensato..e mi sono chiesta …perché non corriamo per la SLA..finché con agganci giusti per giugno del px anno…si correra’per la SLA. ..sto mettendo in piedi questa corsa..ho un conto in sospeso con Dio…a presto Federica

    1. Grazie, per le tue parole e per la bellissima iniziativa. Fammi sapere quando si correrà, dovremmo tutti prestare i nostri piedi per qualcosa di così grande. In bocca al lupo!

  2. Bellissimo racconto,mi emoziono e rimango sempre affascinato da questi racconti,forse perchè sono capace di fare tante cose ma non di scrivere cosi bene..
    Complimenti davvero ! 🙂

  3. Bellissimo racconto, da pelle d’oca, ti viene voglia di correre leggendo queste frasi. Il prossimo anno ci proverò anch’io a farne una. Ero all arrivo e ogni volta che vedevo qualcuno arrivare volevo esserci anch’io in quella maratona. Complimenti ancora, sia per la maratona sia per il racconto.

  4. Sono un GGG ho fatto il Giudice in tante gare, dai campionati studenteschi hai circuiti podistici, campionati provinciali, regionali, campionati ITALIANI indoor, audoor e quant’altro, sono un volontario e quasi tutti i sabato e li domeniche mi allontano dalla mia famiglia per dare il mio supporto nel mondo dello sport, ho visto tanti abbracci tanti sorrisi per aver conquistato una vittoria, ho visto anche tante lacrime per chi non è riuscito a raggiungere il suo obbiettivo, io spesso ho pianto con loro, come ora leggendo la tua storia ho gli occhi gonfi pronti a lacrimare, grazie di averci fatto provare queste emozioni per molti un SOGNO.

  5. Bellissime parole Federica, condivido in pieno quello che hai raccontato, anche perché posso dire io c’ero a vivere la tua stessa esperienza, anche se per me non era la prima maratona ma questa credo sia unica. Complimenti 👏🏻😃

  6. Grazie per il tuo emozionante racconto. Mi fai venire la voglia di provarci, ma avendo piedi delicati, poco adatti
    all’uso guerriero, partecipo attraverso le tue parole con le ali della fantasia.

  7. Ho sempre praticato attività sportive, con fasi alterne nella costanza, ma mai a livello agonistico, non mi interessava. Dopo un lungo periodo di inattività sono stato aggredito da una lombosciatalgia acuta che mi ha costretto a stare a letto per circa quaranta giorni. Dopo sei mesi circa di fisioterapia ed osteopatia mi sono rimesso in piedi, riuscendo a camminare senza stampelle e busto ortopedico. Successivamente ho ripreso a correre e praticare il Nordic walking su indicazione dell’osteopata che mi ha curato e mi segue ancora. Ho partecipato alla 5,30 lo scorso anno e da quel momento qualcosa è cambiato in me, tant’è che ho deciso di iscrivermi alla Venice Marathon. Alla vigilia però, un dolore alla zona lombare mi ha fatto crollare psicologicamente ed ho ceduto. Ho avuto paura del passato ed ho rinunciato a partecipare. Avevo già il pacco gara e la sacca pronta, ma la testa non lo era. La sacca è rimasta nell’armadio per otto mesi, senza che io trovassi il coraggio di aprirla. Ad aprile mi sono iscritto alla Venice Marathon del 2018 ed ho iniziato la preparazione atletica, fisica e mentale deciso a partecipare. Questa volta ho abbassato l’asticella decidendo di non prepararmi a correre ma a camminare: ho fatto i dieci chilometri al passo di Nordic walking. È molto diverso dai 42 chilometri fatti di corsa, ma la descrizione scritta da te (consentimi il tu) è esattamente quello che ho pensato anche io. Nulla mi ha fermato: la pioggia in attesa della partenza, il vento sul Ponte della Libertà e l’acqua alta dalle Zattere fino all’arrivo. Ed al traguardo è stato bellissimo.

  8. Brava, mi hai tolto i pensieri dalla testa e li hai messi su carta, con parole e scrittura migliore della mia. Per me era la terza maratona di venezia, sicuramente la più difficile dal punto di vista del meteo ma quella che ricorderò più volentieri.

  9. Ci si sente proprio così quando si corre una maratona…..Grande fatica ma quando si arriva…sensazioni indimenticabili!!!
    Brava!!!
    Grazie!
    Daniela

  10. Fantastica veramente fantastica io sto preparando maratona di New York prossimo anno e quando corro o partecipo a qualche gara ho gli stessi pensieri tuoi …. a volte mi chiedo ma chi me lo ha fatto fare ma poi la corsa mi fa stare così bene che non sento neanche più la fatica

  11. Complimenti Federica, hai espresso in modo splendido la poesia, il sudore, le incredibili sensazioni che hai provato, le abbiamo assaporate anche noi. Forse i miei 43 anni, la mia vita sedentaria e la pancetta mi impediranno di portare a termine una maratona, ma anche per me la corsa è una necessità, è lasciar scorrere i pensieri, è respirare ad un ritmo deciso dai saliscendi della strada.

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