“Tu non puoi capire se non ci sei passato” è un’espressione che tutti abbiamo detto. Ci allontana da chi non ha subito un certo sconquasso dell’anima e ci avvicina a chi l’ha vissuto. La vicenda della partecipazione di una casa editrice fascista al Salone Internazionale di Torino è stata analizzata sotto molteplici punti di vista. Ne manca solo uno all’appello, ed è l’amore incondizionato per i libri e la cultura. E chi non ci è passato, non lo può capire.
La casa editrice in questione si chiama Altaforte e Salvini l’ha scelta per pubblicare il suo libro intervista. Il proprietario, Francesco Polacchi, è dichiaratamente fascista. Nella presentazione del sito (www.altafortedizioni.it) si legge: “Altaforte è il primo canale commerciale, una piazza virtuale di diffusione di prodotti editoriali di altissima qualità sotto l’egida delle maggiori realtà di settore; denominatore comune di questo aggregato di collane, marchi, generi e titoli è una condivisa sensibilità che ci trova fianco a fianco nella diffusione di una cultura identitaria non allineata”. A me sembra una supercazzola, e in buona sostanza non vuol dire nulla. Gli altafortini pubblicano pure una rivista, “Primato Nazionale”, che nella grafica ricorda molto il settimanale “Internazionale”. Ne volevo leggere qualche stralcio, ma un numero costa 5 euro e non me la sono sentita.
Solo chi deve gran parte della sua anima ai libri può comprendere la questione dalla mia prospettiva. Quando parlo di amore verso i libri non parlo di istruzione e di lauree (non è detto che un laureato legga), ma della ricchezza immensa che ti dà un universo infinito di carta e storie. È un bisogno primordiale dell’uomo usare con saggezza le parole per dare un senso al mondo in cui abita. Quando scriviamo un post, un messaggio al moroso o un biglietto di auguri noi peschiamo dalla nostra cultura, grande o piccola che sia. Ed è grazie a quella se riusciamo ad esprimerci, a farci ascoltare e a farci voler bene.
Il fascismo e il nazismo hanno negato la cultura. Imponevano i nostri pensieri, limitavano ogni espressione, ci volevano bestie ignoranti e docili. Il Mein Kampf prima di essere un’opera criminosa, è innanzitutto un abominio letterario. Leggetelo sì, leggetevi pure il Libretto Verde di Gheddafi, leggetevi i pamphlettini leghisti che giravano quando Bossi trangugiava l’acqua del Po. Io sono profondamente convinta che se i fascisti leggessero sul serio i libri dei fascisti, probabilmente lo sarebbero un pochino meno. Per esempio, una delle opere dell’Altaforte si intitola “Diario di uno squadrista toscano” e viene descritta come “un’avventura rivoluzionaria dirompente i cui protagonisti erano in larga parte giovani (…). Lo squadrismo fu scuola di pensiero e di azione contro chi fugge la lotta e trova alibi al proprio sfaldamento esistenziale”: a parte che “trovare alibi al proprio sfaldamento esistenziale” non so che voglia dire, ma questa non è cultura. È una vomitata di cazzate antistoriche.
I fascisti nel Salone Internazionale del libro non ci devono entrare perché non è il loro posto. Condivido tutte le posizioni degli intellettuali, sia di chi inizialmente ha annullato la sua partecipazione (Zerocalcare, Wu Ming, Carlo Ginzburg) sia di chi era intenzionato a combatterli sul posto (Michela Murgia). Ma l’insulto è a monte: “casa editrice fascista” è una realtà ossimorica. Quelli non hanno nulla da argomentare, la cultura non è il loro posto. Mandereste la vostra ragazza a camminare da sola, nel buio della notte, magari in mezzo al gelo di un dicembre freddissimo? Un libro tra i fasci è questo. Chi ama i libri, capirà.